Rainer Maria Rilke – Elegie Duinesi e Sonetti a Orfeo – Cento anni dopo
di Rosita Tordi Castria
La scultura di Jean Rodin, La Pensée, può essere assunta quale immagine/manifesto della poesia di Rainer Maria Rilke, il grande poeta praghese nel cui itinerario artistico e umano sono di fatto identificabili passaggi persuasivi di un intenso rapporto con le arti figurative e prioritario, negli anni dell’apprendistato, quello con la scultura.
Nell’ agosto 1902 Rilke si trasferisce a Parigi: il primo settembre visita l’atelier di Rodin in rue de l’Université e, il giorno successivo, la villa di Meudon, il cui parco, disseminato di statue, esercita su di lui una impressione fortissima.
È ipotizzabile che le figure dei corpi nudi, levigati, che affondano il volto nel marmo grezzo, non cesseranno mai di agire nel suo immaginario anche se, a distanza di cinque anni, il suo incontro, sempre a Parigi, nel Salon d’Automne del Grand Palais, con la pittura di Cézanne, segni nella sua riflessione una svolta decisiva che gli apre la strada all’idea che il mondo sia irriducibile all’umana volontà di conoscenza e di possesso.
Segue di fatto una lunga crisi creativa e, quando tutto appare a Rilke destinato a una inarrestabile caducità, emergono quasi improvvisamente, nel febbraio 1922 le Elegie Duinesi e i Sonetti a Orfeo.
Chiuso nel castello di Muzot, in una sorta di volontario esilio, nel giro di venti giorni il poeta praghese porta a termine sia le Elegie che i Sonetti, annoverabili tra gli esiti più alti della poesia del Novecento europeo, la cui pubblicazione è del 1923.
Fuori dubbio tuttavia che, al di là di scultori e pittori, un ascendente di assoluto rilievo abbiano svolto nella formazione di Rilke poeti, narratori, saggisti, filosofi alla maggior parte dei quali è avvicinato innegabilmente da Lou Salomé incontrata per la prima volta a Monaco il 12 maggio 1897.
È subito amicizia di una vita: dal 25 aprile al 18 giugno del 1899 soggiorna con lei in Russia, visitando a Mosca Tolstoi, e negli anni immediatamente successivi è ancora lei ad avvicinarlo a Freud e a Nietzsche.
Nel 1900 Rilke legge per la prima volta Nascita della Tragedia, e gli appunti, conservati in diciotto fogli, saranno ritrovati fra le carte postume di Lou Salomé. Di poco successiva la sua lettura di Così parlò Zarathustra, l’opera in cui torna insistente l’idea della centralità del “corpo e la sua grande ragione”.
Particolarmente incisivo nell’immaginario rilkiano il memorabile passaggio Della Redenzione in cui Nietzsche rilascia una dichiarazione emblematica del senso del suo operare:
“Io passo in mezzo agli uomini, come in mezzo a frammenti dell’avvenire: di quell’avvenire che io contemplo.
E il senso di tutto il mio operare è che io immagini come un poeta e ricomponga in uno ciò che è frammento ed enigma e orrida casualità!
E come potrei sopportare di essere uomo, se l’uomo non fosse anche poeta e solutore di enigmi e redentore della casualità!
Redimere coloro che sono passati e trasformare ogni ‘così fu’ in un ‘così volli che fosse!’ – solo questo può essere per me redenzione!”
È un contraccolpo al nichilismo che Rilke accoglie senza riserve e, in questa direzione può leggersi quale persuasiva testimonianza la scultura di Rodin, La Pensée, indicata in apertura di questo breve studio come immagine/manifesto del suo percorso artistico e umano.
Recita una definizione dello stesso Rilke nel suo saggio su Rodin:
“Una testa si solleva da un grande masso uscendo dal sonno pesante di un ottuso durare”.
E ad essa fanno eco i versi di sapore testamentario:
Questo allora è vivere: nessuno e nulla conoscere,
solo ogni cosa veder tremando e non trovar motivo,
per un attimo solo ardere al massimo fulgore
come candela accesa tra l’estranea gente.
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