La partecipazione qualificante
di Antonio Pileggi
Conoscere per deliberare è un vecchio adagio riferito ad Einaudi, il primo Presidente della Repubblica italiana. Conoscere chi partecipa a deliberare, a scrivere e a sottoscrivere un testo di legge quasi sempre qualifica e conferisce autorevolezza al deliberato.
Le costituzioni moderne, a cominciare da quella degli Stati Uniti che dura da secoli con alcuni “emendamenti” introdotti nel rispetto di regole prestabilite, non sono le Tavole consegnate a Mosè direttamente dalla Divinità. Sono state scritte da uomini (e nel caso dell’Italia anche da donne) in carne e ossa. Sono sempre perfettibili con le procedure che le stesse costituzioni prevedono, ma la loro autorevolezza è inevitabilmente correlata all’autorevolezza di coloro che abbiano “partecipato” a porle in essere e a firmarle. Ovviamente ci sono numerosi altri aspetti che conferiscono autorevolezza: i contenuti del corpo normativo in riferimento ai diritti fondamentali delle libertà dell’individuo e delle comunità intermedie; il più o meno alto valore riconosciuto alla partecipazione e alla cittadinanza attiva; la qualità della “rappresentanza” titolata a svolgere le funzioni legislative; i limiti previsti per il governo della cosa pubblica; i principi a presidio della divisione dei poteri; l’architettura e l’efficienza degli organi costituzionali, il sistema dei controlli, il contesto storico in cui maturano le esigenze di deliberare norme di rilevanza costituzionale, etc. etc.
La giovane Costituzione italiana compie 70 anni il primo giorno dell’anno 2018: entrò in vigore il primo gennaio 1948. Fu firmata a Palazzo Giustiniani il 27 dicembre 1947.
Chi sono i protagonisti di quell’atto fondativo della Repubblica italiana?
Brevissimi cenni biografici su chi firmò la Costituzione del ’48 dicono molto di più di quanto non sia stato detto durante i tre lunghi anni, dal 2014 al 4 dicembre 2016, nei quali il Potere Esecutivo italiano ha tentato di farsi una nuova costituzione di comodo per esso medesimo. È appena il caso di sottolineare che il disegno governativo, firmato dal Presidente del Consiglio pro-tempore e dalla responsabile del “singolare” dicastero per le riforme costituzionali, è fallito grazie alla massiccia partecipazione dei cittadini al voto referendario.
La Costituzione italiana fu firmata da Enrico De Nicola, in qualità di Capo provvisorio dello Stato. Era un illustre giurista di area liberale giolittiana. Stimatissimo per il suo rigore morale. Rifiutò lo stipendio previsto per il capo dello Stato. Era famoso per il suo cappotto rivoltato e indossato con grande dignità nelle occasioni ufficiali.
Gli altri firmatari furono De Gasperi Alcide, in qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, (si firmava così: prima col cognome e poi col nome). Democristiano e statista di altissimo profilo. Era stato in galera per motivi politici.
Umberto Terracini, in qualità di Presidente dell’Assemblea costituente. Socialcomunista, era stato in galera per motivi politici: una quindicina di anni nelle patrie galere lo avevano “forgiato” a sufficienza soprattutto nella sua sensibilità per i temi della libertà. Giuseppe Grassi, in qualità di Ministro di Grazia e Giustizia. Liberale.
Basta esaminare il curriculum vitae di queste 4 Personalità per percepire la sostanza del dialogo e della conseguente sintesi fra diverse sensibilità culturali e politiche che si sono ritrovate insieme per definire normative costituzionali idonee ad assicurare la convivenza, di stampo liberal-democratico, per tutti i cittadini della Repubblica dopo i disastri della guerra e del ventennio fascista.
A questi brevi cenni aggiungo la citazione del discorso di De Nicola all’atto del suo insediamento come Capo dello Stato: «Per l’Italia si inizia un nuovo periodo storico di decisiva importanza. All’opera immane di ricostruzione politica e sociale dovranno concorrere, con spirito di disciplina e di abnegazione, tutte le energie vive della nazione, non esclusi coloro i quali si siano purificati da fatali errori e da antiche colpe. Dobbiamo avere la coscienza dell’unica forza di cui disponiamo: della nostra infrangibile unione. Con essa potremo superare le gigantesche difficoltà che s’ergono dinanzi a noi; senza di essa precipiteremo nell’abisso per non risollevarci mai più ».
Sotto il profilo della partecipazione, è da sottolineare che in occasione della elezione dell’Assemblea Costituente, il 1946, fu introdotto in Italia il suffragio universale femminile. Ciò ha comportato la partecipazione al voto delle donne alcune delle quali sono state elette a far parte dell’Assemblea Costituente e a scrivere la Costituzione.
Nel fare brevissimi cenni del curriculum di De Nicola, ho ricordato che era un liberale giolittiano. L’ho fatto anche per poter coniugare questo ricordo con il fatto che il suffragio universale maschile fu introdotto in Italia da Giolitti nel lontano1912, 34 anni prima di quello femminile.
Sono consapevole che questa mia breve nota, scritta a 70 anni dalla firma della Costituzione, è molto carente nel citare chi partecipò alla stesura della nostra Carta. Ecco perché oso fare un rinvio ad uno dei tanti discorsi di Piero Calamandrei. Più precisamente a quello del 1955 che, rivolto agli studenti, cita gli insegnamenti dei tanti personaggi della storia d’Italia che hanno ispirato la stesura di alcuni importanti articoli (Beccaria, Cavour, Mazzini, Cattaneo, etc.). Il discorso di Calamandrei, si conclude con parole da tenere sempre in mente: “Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione.”
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