Libro La cognizione del male

LA COGNIZIONE DEL MALE, come uscire indenni dalla ragnatela della perfidia

Luigi Mazzella, Avagliano Editore, 2023.

Un libro autobiografico che percorre esperienze caratterizzate dalla “cognizione del male” (e non solo del male) dagli anni ‘30 del secolo scorso fino al tempo presente. È un’opera sorprendente e interessante perché contiene una miniera di notizie (e relative considerazioni) riguardanti persone e fatti noti e meno noti. Un’opera sorprendente perché l’autore, che ha già scritto numerosi libri, per la prima volta mette nero su bianco notizie strettamente “riservate” sia di natura personale e familiare e sia di natura politico-istituzionale dei piani alti della politica.

Nei piani alti delle istituzioni Mazzella ha svolto ruoli di primo piano. Un semplice sguardo al suo curriculum vitae ci dimostra che siamo innanzi ad un protagonista non ad un semplice testimone di fatti già consegnati o ancora da consegnare alla storia.

Ovviamente è da tenere presente che quando rivestiva alti incarichi istituzionali non ha divulgato gli aspetti e i “retroscena” presenti in questo libro. Infatti, gli stili comunicativi di Luigi Mazzella erano improntanti alla riservatezza anche in situazioni “controverse” per rispetto del ruolo istituzionale che rivestiva.

Ora, a distanza di alcuni anni dalle sue esperienze nelle istituzioni, svela molti fatti senza le “indulgenze” tipiche di molte autobiografie. Mette a nudo fatti e personaggi, alcuni molto famosi, in una narrazione che non manca della sottile ironia e dell’autoironia.

Nella prosa di Mazzella ci sono stili narrativi che risentono dell’inchiostro di Tomasi di Lampedusa. L’autore del Gattopardo è molto caro a Mazzella che, fra i numerosi suoi libri, ha anche scritto un volume intitolato “Leopardi e Gattopardi”. Anche Leopardi è un importantissimo punto di riferimento di Mazzella. Il poeta di Recanati è al centro di molti suoi pensieri. Ecco cosa scrive, tra l’altro, del grande recanatese:

“Leopardi era stato il primo pensatore italiano ad aver capito che la via d’uscita dall’impasse in cui era caduto il Bel Paese era difficile, se non impossibile.

Una cultura dominata da circa due millenni da categorici assolutismi e da artificiosi universalismi non riusciva più a esprimere uomini dal pensiero libero e lucido. Essa trasmetteva e comunicava una conoscenza della realtà per tutto falsa. Una letteratura filosofica, sociologica, corriva e facilona, astutamente apologetica, controllava e gestiva da un’accademia che era selettiva, tranne rare eccezioni, soltanto sulla base dell’ossequio. Ai maestri non aveva in alcun modo contribuito a liberare la mente degli assiomi inculcati da astuti imbonitori, si era fatto di tutto per cercare uno steccato intorno al recanatese, esaltandolo come poeta ma condannandolo come pensatore. Si era trovati e si erano trovati per lui aggettivi pronunciati con enfasi dispregiativa: pessimista cosmico, nichilista, senza rendersi conto che con tali termini erano sempre stati contraddistinti i più grandi uomini di pensiero.”

Mazzella elogia “Il meraviglioso antico” leopardiano [che] aveva tra i suoi filosofi più lucidi: Democrito, Lisippo ed Epicuro, sostenitori di un cosmo pieno di atomi in movimento e il moto perpetuo all’interno di uno spazio infinito. Il tutto regolato, almeno ai nostri occhi, dal caso o da non intelligibile leggi fisiche e matematiche; e come suoi “cantori”, drammaturghi divertenti: Euripide e Aristofane. Il tramonto di tale “meraviglioso antico” della civiltà greco romana era un rimpianto costante, ricorrente nella prosa e nella poesia di Giacomo Leopardi.”

Il Mazzella-pensiero, che è avverso alla “cultura di gregge”, si sente “vicino” a Tomasi di Lampedusa e a Leopardi, ma anche a Carlo Emilio Gadda citato dallo stesso Mazzella nella sua illuminante introduzione alla “cognizione del male”.

D’altronde Gadda, nel suo libro “La cognizione del dolore”, ha approfondito questo tema in modo significativo. Gadda, a proposito del suo libro, scrive: “Il titolo «La cognizione del dolore» è da interpretare alla lettera, cognizione è anche il procedimento conoscitivo del graduale avvicinamento ad una determinata nozione.”

La nozione (cognizione) del male attraversa tutta l’autobiografia di Mazzella. Nel parlare degli altri, Mazzella ci parla di sé stesso, dei suoi intimi sentimenti e delle sue idee improntate al libero pensiero di un intellettuale “figlio” della cultura che affonda le sue radici nella Magna Graecia.

Nella parte finale del libro, Mazzella si spinge a considerare i fatti della geopolitica contemporanea e ci dice di sentirsi vicino, fra gli altri, alle considerazioni di Edgar Morin a proposito delle “credenze religiose e politiche”.

Comunque, nel libro viene ripetutamente ribadita, come un mantra, la sua avversione al platonismo e a qualsiasi scuola di pensiero che possa essere considerata risalente ad Hegel.

Qualsivoglia narrazione autobiografica risente delle sperienze concrete, della cultura e della “posizione” (condizione) sociale e ambientale di chi racconti. L’autobiografia scritta da una persona che abbia svolto compiti ai vertici istituzionali e politici dello Stato suscita interesse. Possono emergere rivelazioni e valutazioni inedite. Nel caso di Mazzella l’interesse è particolare perché ci troviamo innanzi ad uno scrittore che si sofferma sui suoi più intimi pensieri in un lunghissimo arco temporale (poco meno di un secolo), dalla nascita in poi, senza mantenere riservate quelle esperienze di vita che generalmente vengono celate.

È da premettere che la chiave di lettura del Mazzella-pensiero è “dichiarata” nelle prime pagine di questo libro:

“io, abbracciato l’ateismo più pieno nell’adolescenza e sentendomi figlio della Magna Grecia, avevo deciso di non dissociare mai, nei limiti consentiti da una osservanza di una legislazione che dalla limpidezza del diritto romano era passata alla farraginosità imposta dalla sostanziale accettazione della cultura medio-orientale, i miei comportamenti dalla razionalità e dall’empirismo, che avevo motivo di pensare fossero stati la caratteristica del pensiero dei miei più lontani antenati greci.”

Questa scelta, che è il filo rosso delle sue scelte di vita, è una scelta del tutto “diversa” della sua famiglia che annovera “fior di religiosi” e finanche un cardinale cugino di suo nonno. Un religioso che fece registrare il primato di essere il primo gesuita ad indossare la porpora.

Il pantheon filosofico di Luigi Mazzella è ricchissimo e illustrato via via che vengono analizzati gli avvenimenti che lo coinvolgono.

La condizione familiare, la scuola, la condizione sociale, la filosofia, la politica, le vicende istituzionali e la visione della vita sono oggetto di “analisi” da parte di questo scrittore che si sofferma su tutto e sulla parte del tutto del suo “mondo” familiare, sociale e ambientale. La narrazione prende in esame la “qualità totale” del bene e del male con i suoi personali punti di vista.

Leggiamo di tutto e di più. Dall’analisi psicologica dei personaggi alla descrizione dei contesti in cui i personaggi si muovono. A cominciare dalla sua famiglia. Sottolineo che Mazzella, a proposito dei suoi familiari, mette a nudo aspetti della “cognizione del male” col piglio dell’intellettuale che vuole andare fino in fondo nell’analisi di qualsiasi fenomeno. Riporto qui di seguito qualche riga delle tante pagine dedicate ai suoi parenti: 

“La scienza medica e psichiatrica, al tempo della mia età verde, non aveva ancora scoperto la patologia detta ‘anaffettività genitoriale’, ritenendola, per giunta pressoché incurabile.”

Potrei sbagliare, ma non mi sembra ci siano molti autori che mettano a nudo “il male” esistente nella propria famiglia nel modo come fa lo scrittore Mazzella.

Sorprende sicuramente il lettore la narrazione di fatti e misfatti familiari fin dalla prime pagine del libro. Le sorprese continuano nel prosieguo della narrazione che tratta molti importanti episodi della vita dell’autore.

Spesso le autobiografie non sono solo coperte da veli, alcune volte sono “depistaggi” per nascondere la verità. Alcuni “personaggi” della politica scrivono autobiografie per “costruire” verità autoassolutorie o autoconsolatorie. Non è il caso di Mazzella, che non “costruisce” verità, ma le descrive riportando i fatti per come essi fatti si siano effettivamente svolti alla luce delle sue esperienze, delle sue scelte, delle sue rinunce, del suo punto di vista e anche dei suoi dubbi (il dubbio è il principale indizio dell’intelligenza umana). E in questa sua descrizione della verità secondo il suo punto di vista non ha indulgenza alcuna. Nemmeno con se stesso. Anzi, ha la vocazione all’intransigenza. Nel leggere il suo libro (e i suoi libri) mi viene spesso in mente il principio dell’intransigenza cui si è ispirato Piero Gobetti, che ha scritto: “C’è un valore incrollabile nel mondo, l’intransigenza”. 

Senza indulgenze, Mazzella parla dei suoi familiari, della sua adolescenza e delle sue esperienze lungo l’arco della sua vita.

Qualsiasi opera autobiografica contribuisce a svelare e a far capire la genesi delle opere letterarie di un autore. Ma, generalmente, le autobiografie peccano di rimozioni (e di ambizioni più o meno celate) tipiche della natura umana.

Non è così per Mazzella che mette a nudo le proprie esperienze di vita e le sue dotte opinioni, ancorché maturate o cambiate nel tempo, da rendere questa sua autobiografia un “romanzo” popolato non da personaggi di fantasia, ma da persone descritte, a cominciare dalla sua famiglia, con nome e cognome.

L’autore ci rivela aspetti della sua famiglia che lo hanno particolarmente segnato. È nato orfano di padre morto un mese prima della sua nascita. Sua madre, da “vedova infelice”, gli aveva “regalato” un patrigno “cafone ‘e fora e cacciatore di dote”. Il patrigno, che tra le sue attività aveva anche quelle dei diplomifici (scuole private), è stato descritto anche con tratti di ironia pari ai metodi di scrittura usati da Tomasi di Lampedusa.

La cognizione del male viene descritta per tutto l’arco del cammino della sua vita. Mazzella ci dice di avere avuto a che fare con molti “patrigni”.

L’autore ci indica i connotati della perfidia, anzi della ragnatela della perfidia. La ragnatela come insieme delle relazioni umane e la perfidia come malvagità degli esseri umani che nulla hanno a che fare con la dignità umana. È notevole la forza descrittiva dell’indole e dei comportamenti dei “patrigni”.

Ogni scrittore, quando usa la sua penna “tradisce” la cultura e le esperienze che caratterizzano il suo vissuto e l’intensità della sua preparazione culturale. Mazzella non sfugge a questa “regola”. In alcuni tratti dell’autobiografia, Mazzella, che si è occupato anche di arte e di cinema, ha usato una scrittura che assomiglia ad una sceneggiatura per opere cinematografiche.

Ometto di fare esempi perché occuperei troppo spazio. Mi limito a dire che è piacevole la lettura di questi “sceneggiati” che sembrano scritti per suggerire a qualche regista cinematografico di realizzare una serie di filmati. Si consideri, al riguardo, che non mancano le descrizioni dell’aspetto fisico e del linguaggio del corpo di alcuni personaggi. Non ci sono le foto dei personaggi descritti da Mazzella, ma non ne abbiamo bisogno, possiamo immaginare il loro volto, la loro mimica, i loro vestiti e il loro linguaggio. E tutto ciò si accompagna all’analisi psicologica di molte persone con la tecnica descrittiva dei grandi scrittori. Per gi amanti della lettura e della letteratura, faccio un solo esempio delle capacità descrittive di Mazzella:

“La ragazza era bella, bruna, un viso ovale, illuminato da due occhi neri e profondi, il naso sottile, la bocca carnosa. Era alta, slanciata, le spalle di linea morbida ma solide, due gambe lunghe, dritte e sode, un seno generoso, che si poteva immaginare tumido, le natiche tonde e arcuate molto in alto, la vita snella e un bacino ampio e perfettamente tornito. Livia era, in altre parole, una donna piacente e formosa. Quanto bastava per attrarre su di sé sguardi maschili densi di cupidigia. I suoi occhi, che pur brillavano di una luce molto vivida, sapevano all’occorrenza diventare languidi e sognanti. Quella sera indossava un abito nero molto fasciato e lungo fino al punto da lasciare scoperte le ginocchia. Livia aveva un vezzo: riversava molto spesso il capo all’indietro, apparentemente assorta in pensieri che voleva lasciare intuire profondi; accompagnava il gesto lisciandosi con la mano i lunghi, morbidi e vaporosi capelli castani.”

Il ritmo narrativo in questo libro si svolge attraverso valutazioni e giudizi che l’Autore fa al momento della pubblicazione dell’autobiografia. Infatti, la sua autobiografia non è un diario, ma la ricostruzione dei fatti col senno dell’epoca in cui è stato dato alle stampe il libro. Ecco perché non mancano giudizi e valutazioni che tengono conto di considerazioni “evolute” rispetto a suoi precedenti convincenti.

Col passare degli anni alcune valutazioni politiche di Mazzella sono maturate e cambiate. È lui stesso che mette in evidenza questo suo “ravvedimento operoso”.

Nella quarta di copertina della Cognizione del male le prime quattro righe spiegano come sia da intendere l’evoluzione del Mazzella-pensiero:

“L’evoluzione del pensiero che interviene nel corso degli anni può indurre a rielaborare il racconto della propria vita sia sotto l’aspetto privato sia sotto quello pubblico: e ciò alla luce delle maggiori esperienze maturate e delle visioni più approfondite degli eventi privati e pubblici vissuti.”

Si comprende il perché di questi cambiamenti che dimostrano il suo modo di dare valore e significato al dubbio che caratterizza il pensiero libero. Ha rivisto alcune delle sue opinioni. Per esempio, ha rivisto alcune sue precedenti considerazioni sul liberalismo. In passato aveva al primo posto delle sue preferenze il liberalismo di stampo anglosassone restando fortemente critico rispetto al liberalismo nato e cresciuto a livello del continente europeo, illuminismo compreso. Nel presente libro scrive di aver maturato una opinione totalmente e fin troppo diversa. I recentissimi avvenimenti lo hanno indotto ad assumere una posizione molto critica nei confronti esperienze storiche della civiltà occidentale.

Il libro contiene una serie di valutazioni anche sui fatti dell’attualità politica che, per quanto opinabili, dimostrano come l’Autore si esprima in totale libertà e in aperto dissenso con le opinioni prevalenti di questa difficile fase storica in cui, peraltro, spirano venti di guerra. Le sue argomentazioni sono, a dir poco, originali e caratterizzate dalla intransigenza ai fenomeni del bellicismo “sviluppatosi” nel terzo millennio.

Siamo entrati in una fase storica in cui c’è già la “terza guerra mondiale a pezzi”, come dice (giustamente) Papa Francesco.

Mazzella, da laico colto e molto severo, osserva la realtà ed esprime le sue opinioni che, per quanto opinabili, tentano di non lasciare spazi all’inganno, alla propaganda e alla disinformazione.

Al riguardo, oso aggiungere che la propaganda, l’inganno e la disinformazione sono la vera essenza della guerra fin dai tempi, a tutt’oggi immutati, di Sun Tzu, il grande autore (e scienziato) dell’arte della guerra.

Oso anche dire che ho trovato e trovo molto interessante leggere le considerazioni sulla guerra dell’ateo Mazzella, che proviene da una famiglia nella quale il cugino di suo nonno fu il primo gesuita con la porpora cardinalizia.

In questi tempi sono al centro dell’attenzione le idee sulla guerra del primo gesuita eletto Papa. Mi riferisco all’attuale pontefice, che ha scelto di chiamarsi Francesco come il poverello di Assisi (Assisi è la capitale mondiale dell’idea della pace). In qualche mio scritto ho avuto modo di chiamarlo “Francesco Secondo” e mi risulta che non sono stato messo all’indice (anche perché l’indice non c’è più). La Chiesa, come istituzione millenaria, si “ravvede” ed ha il tempo di ravvedersi.

Mi limito ad evidenziare che Papa Francesco, dalla sua finestra che si affaccia sulla piazza dove le pietre parlano, parla della guerra definendola “una pazzia”. Ed ha anche parlato dello “ius pacis” come aspirazione dei popoli a cancellare dalla storia la guerra, che è sempre “una sconfitta”. Sono idee, quelle di Francesco Papa, che sono, a dir poco, “lontane” da altri pontefici. Idee evolute e veramente importanti perché, nel solco del Concilio Vaticano Secondo di Giovanni XXIII e di Paolo VI, hanno lo sguardo lungo in una dimensione veramente planetaria (ecumenica). Al riguardo, il mio pensiero va a quel Pontefice che poco più di 150 anni fa benediceva le truppe vaticane, armate con fucili moderni (per l’epoca) forniti dai francesi, per impedire l’azione militare congegnata (Breccia di Porta Pia) per far diventare Roma capitale d’Italia. In quel periodo storico i “moderni” fucili francesi erano stati già “protagonisti” della mattanza che pose fine alla Repubblica romana di Mazzini e alla sua bellissima e indimenticabile Costituzione.

Prevale nei pensieri di Mazzella il pessimismo. È il pessimismo che si muove nel solco tracciato da Leopardi. Anche l’intransigenza è una caratteristica delle sue idee e dei suoi comportamenti.

Mazzella ripercorre la sua esperienza di vita e le sue laiche visioni politico-istituzionali (e sociali) esprimendo considerazioni critiche sulle scelte politiche prevalenti nei nostri tempi.

Devo ringraziarlo per avermi dedicato, in fondo al libro, una fin troppo “generosa citazione”. Lo ringrazio ricordando qualcosa che dà significato alla nostra amicizia. Quando ero ancora un ragazzo fui accusato di leggere libri all’indice. Non sapevo cosa fosse l’indice e mi rivolsi a mio padre che con tre parole – “tu leggi tutto” – mi indicò la strada del libero pensiero. Ma la cosa ebbe un seguito dopo alcuni anni, nel senso che un caro e dotto amico mi “avvertì”: “non leggere troppo, altrimenti non avrai con chi parlare”.

Aveva torto questo “dotto” amico. Ho avuto l’onore e il privilegio di aver parlato e di continuare a discutere con immenso piacere con Luigi Mazzella e con tante altre persone dotate di grande cultura. Persone non erudite, ma colte. La cultura è tutt’altro che erudizione

L’amicizia e il dialogo con gli amici sono un grande e vero dono. Il dialogo, che è anche (e soprattutto) ascolto, è uno dei più grandi piaceri della vita. La lettura dei libri degli amici ha un valore aggiunto. Il valore di poter scrivere (e discutere), dopo la lettura, considerazioni e riflessioni che sono un arricchimento continuo.

Questo libro parla della cognizione del male e del come uscire indenni dalla ragnatela della perfidia, ma nello stesso tempo ci dà la chiave di lettura delle numerose pubblicazioni di un autore di profonda cultura che, fra le tante attività svolte, ci confessa di amare, soprattutto, quella della scrittura.

Da scrittore ci parla delle sue esperienze e delle sue valutazioni politiche, filosofiche e artistiche. Non si possono citare tutte perché sono numerose. Ma qualche cenno si può fare allo scopo di dare contezza della sua “visione” in diversi campi.

Per esempio, lo spazio dedicato alla scuola e alla corruzione trova spiegazioni ben precise: “a volte, mi chiedevo se il mio furore contro i corrotti non nascesse, anche se non soprattutto, dall’odio che avevo maturato per il mio patrigno, moralmente marcio e speculatore immondo (la propaganda della sua scuola parificata su manifesti murali e volantini che faceva affiggere a Salerno suonava così: ‘Nessun bocciato a fine corso…”  Mazzella parla anche di “diplomificio” e di “diplomi fasulli”.

Di contro, troviamo episodi che ci fanno comprendere come il suo amore per i libri e per il dialogo educativo (con i suoi docenti della scuola pubblica) gli avessero procurato grandi soddisfazioni anche perché conseguiva sempre risultati eccellenti. Sono gli stessi risultati eccellenti che gli hanno aperto la strada alla sua lunga ed eccellente carriera.

Vorrei citare un altro esempio: da Ministro della Funzione pubblica ha spiegato la sua avversità alla grave riforma che aveva introdotto lo spoil system all’italiana. Una riforma che, a mio avviso, ha generato uno dei peggiori mali consumati in danno dei principi del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione.

E, per finire con gli esempi, ricordo un episodio del quale non c’è traccia nel libro, ma che ci fa comprendere quanto Mazzella sia stato un protagonista e non un semplice testimone di eventi significativi della storia della democrazia italiana.

All’epoca in cui era Vicepresidente della Corte costituzionale, è stata riconosciuta, con una Sentenza storica (n. 1/2014), l’incostituzionalità della legge elettorale denominata “porcellum”.

Si è parlato e si parla poco di quella Senteza, che è stata la “certificazione” dell’esistenza di una volontà politica vocata a produrre leggi elettorali dotate di marchingegni in spregio ai principi basilari della democrazia partecipativa (e rappresentativa).

La sentenza non fu generata da una controversia fra organi istituzionali (o fra eletti a cariche istituzionali), ma da ricorsi intentati da semplici cittadini che avevano contestato la violazione della Costituzione in materia di legislazione elettorale. Non fu cosa da poco. Il Parlamento eletto con quella legge costituzionale venne formalmente e sostanzialmente delegittimato. Ma quello che accadde dopo quella Sentenza sarà oggetto di esame degli storici che avranno molti avvenimenti (e comportamenti istituzionali) da considerare.

La storia ci insegna che la notte (e la morte) della democrazia coincide sempre con i marchingegni elettorali. La legge Acerbo di Mussolini ci dice molto di più di qualsiasi altra argomentazione (più o meno sofisticata) sui sistemi elettorali. Piero Gobetti diceva che il voto è l’atto fisico di nascita della persona politica. Con quella Sentenza storica del 2014 la Corte costituzionale si comportò da vera sentinella della libertà.

Ci sarebbero tantissimi altri argomenti da mettere a fuoco perché collegati alle esperienze politiche e istituzionali di Mazzella. Basta dire che in questo libro si parla del male, ma si intravede il modo “come uscire indenni dalla ragnatela della perfidia”.

Quanto ai suoi giudizi sui suoi problemi familiari, mi preme sottolineare che non si tratta di giudizi rancorosi o istintivi. Tutt’altro. Prima ancora di questo libro, Mazzella ha approfondito spesso il tema della famiglia sotto diversi profili. Chi ha letto i suoi scritti, o chi abbia avuto modo di dialogare spesso con lui (com’è il mio caso), sa che l’autore di questo libro ha approfondito spesso i vari aspetti e i mutamenti giuridici e sociali (e gli usi e i costumi, matriarcato compreso) di diverse epoche storiche.

Oso dire che il libro, a mio avviso, ha un “difetto”: manca l’indice dei nomi e dei luoghi che fanno da sfondo alla narrativa. Con l’indice dei nomi e dei luoghi avremmo un bel “dizionario” politico, filosofico, artistico e geografico dagli anni ’30 del secolo scorso fino all’attuale situazione politico-istituzionale in una dimensione planetaria.

Il libro si pone, tra l’altro, lo scopo di indicare “come uscire indenni dalla ragnatela della perfidia”. Mazzella, che ha amato e ama la vita e la bellezza in tutti i suoi contenuti artistici, ci offre pagine di piacevole lettura. E ci fa scoprire il suo interesse per l’arte e per la settima arte, quella del cinema.

La sua notevole esperienza nel mondo del cinema induce a considerare il ritmo narrativo del libro che risente positivamente di quanto anticipato nel famoso manifesto della nascita della settimana arte dal Grande Ricciotto Canuto. Ricciotto Canuto aveva ben spiegato l’estensione dello spazio e la dimensione del tempo nella cinematografia. Sta di fatto che l’estetica del libro di Mazzella è incanalata su tre profili: quello storico, quello culturale e quello della bellezza. Nella sua intitolazione, il libro anticipa il cammino (il profilo) del male. Ma va ben oltre.

Non c’è traccia nel titolo del libro dell’idea che da sempre coltiva Mazzella: la bellezza. È la ricerca della bellezza il filo rosso che unisce la profonda cultura e i poliedrici interessi caratterizzanti la vita e le opere di Luigi Mazzella. La bellezza della filosofia e dell’arte. La bellezza cercata, contemplata e celebrata. La bellezza nell’amore e per l’amore della vita e della libertà. Della libertà intesa come pensiero libero. Pensiero libero da qualsiasi condizionamento: familiare, sociale, ambientale, politico.

La sua Musa e la sua compagna di vita nel cammino della bellezza è sua moglie Ylva. Il libro racconta il loro rapporto sempre vivo e sempre vegeto. L’amore per Ylva e per la bellezza occupa molte pagine rivelatrici del cammino di un amante (di due amanti) della bellezza.

Antonio Pileggi

Antonio Pileggi