La baraonda terminologica (e non solo) nelle case liberali dell’Occidente

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Articolo di Luigi Mazzella (pubblicato su rivoluzione-liberale.it)

Il Presidente degli Eurodeputati liberali, l’ex premier belga Guy Verhofstadt aveva, tempo fa, concordato l’adesione del Movimento Cinque Stelle al gruppo ALDE (Liberal democratici Europei). Dovette annullare l’operazione per le opposizioni interne all’Associazione. Ricordo che io ero, invece, nettamente favorevole all’ingresso e ritenni un  errore quel diniego, scrivendone su questo giornale, naturalmente, come sempre, da indipendente. Oggi, però, mi sembra che le cose si siano ulteriormente ingarbugliate e dire che cosa siano veramente i liberal democratici in Europa è divenuto un vero rebus.

La qualifica di “liberale” è rivendicata da tutte le forze politiche perché è chiaro a tutti il tramonto della socialdemocrazia.

L’impressione, però, è che in ogni Paese dell’Occidente i partiti sedicenti liberali vadano ognuno  per una strada, che nel migliore dei casi è diversa da quella di altri e in alcune ipotesi addirittura opposta. Vediamo.

In Francia, Sylvie Goulard, liberale, collegata con i partiti liberali dei Paesi nordici, si dichiara fedelissima del Presidente Emmanuel Macron e quindi s’iscrive nella logica dei neo o iper-liberisti più intransigenti e favorevoli, senza riserve, alla globalizzazione, non soltanto delle merci ma anche umana (id est: immigrazione). La Goulard sposa la linea, a mio giudizio,  voluta soprattutto dalle élite finanziarie di Wall Street e della City per consentire alle Banche di riprendersi i crediti elargiti a imprese manifatturiere in crisi di competitività per l’alto costo raggiunto dalla mano d’opera locale. In modo contrapposto, una posizione “anti-sistema”, con accentuazioni che molti giudicano ancora quelle xenofobe, proprie delle origini del movimento, è quella del Front National di Marine Le Pen (con cui esisterebbe una sorta di gemellaggio con la Lega italiana di Matteo Salvini)

In Austria, Sebastian Kurz, pur appartenendo a una diversa “famiglia” politica,  si colloca, in nome di un conclamato, sostanziale liberalismo, tra le forze “anti-sistema”, anche se in maniera più moderata rispetto alla spinta prepotente nella stessa direzione del “liberale” Haider, che è considerato molto vicino alle posizioni dell’ultra destra.

In Germania, la posizione dei liberali è stata sempre molto oscillante e solo da poco tempo (e molto timidamente) sta assumendo anche in quel Paese connotazioni più prossime ai partiti dell’anti-sistema. E’ un processo che appare ancora faticoso ma che sarà certamente facilitato da una prevedibile spaccatura del partito socialdemocratico, dopo la scelta di Martin Schulz di entrare ancora una volta nella Grosse Koalition condotta da Angela Merkel.

In Italia, l’incertezza sulla posizione dei liberali è più evidente che altrove. In posizione “anti-sistema” vi sono dichiaratamente la Lega di Matteo Salvini  e, con maggiore moderazione, il Movimento delle Cinque Stelle, sotto la guida di Luigi Di Maio.

La Lega, a differenza del Movimento delle Cinque Stelle, ha alcuni scheletri nei propri armadi: fatti non dimenticati di corruzione dei vecchi vertici ancora in trincea, paternità del Porcellum,corresponsabilità per la nascita del Rosatellum, e un’origine come partito folkloristica  (le acque del Po, i riti Celtici, il giuramento di Pontida) che non ha niente a che vedere né con la storia liberale né con la “protesta” antisistema e molto con la visione di un “popolo eletto” che, convinto di essere tale,  tende a differenziarsi dal resto degli abitanti del Bel Paese.

Per concludere, nelle varie case liberali dell’Occidente anche per il fatto che i concetti di liberalismo, liberismo, neo-liberismo si sono un po’ accavallati e confusi, rendendo il dialogo difficile tra gli stessi liberali, veramente o sedicenti tali,  la confusione regna piuttosto sovrana e appare ben lontana una soluzione dalle caratteristiche unitarie.

Fuori dalle terre continentali dell’Europa, le patrie del vero liberalismo, i Paesi Anglosassoni, non hanno esitato, invece, con la Brexit e con l’elezione di Trump, a porsi in una decisa posizione “anti-sistema”, dissociandosi dalla politica dei vecchi “establishment” degli Obama, dei Clinton, dei Cameron e dei Blair. I nuovi governanti di quelle Nazioni non sono stati a lungo a guardare (come le stelle del romanzo di Cronin) ma hanno operato in una direzione che hanno ben valutato e fermamente voluto, con l’intenzione di restare, esse, padrone del loro destino. Hanno deciso di porre un alt al “liberismo” neo, iper e comunque sfrenato,  globalizzatore, irriducibile e insensibile al “grido di dolore” di popolazioni oltraggiate, praticato dalle élite finanziarie.  E ciò hanno fatto dopo avere ottenuto, nonostante le ostilità del fronte della stampa e della radiotelevisione, tutto al servizio delle Banche o di Governi codini, un successo, con il Web e i Social  veramente imprevedibile. La guerra da loro fatta contro il sistema finanziario, creditizio, borsistico e mass-mediatico ha avuto un obiettivo squisitamente liberale: tutelare la libertà dei cittadini, sottraendoli  al disordine e all’insicurezza in Paesi sconquassati da immigrazioni stravolgenti di nuovi schiavi, ribelli e scontenti fin dal momento degli sbarchi in Occidente, perché consapevoli di essere stati stimolati a trasmigrare per l’interesse di una società industriale non in grado di competere con i prodotti dei paesi emergenti. Da empiristici e pragmatici, Inglesi e Statunitensi  hanno ripristinato le condizioni per una possibile, rinnovata osservanza del patto sociale che gli immigrati ignorano e vogliono ignorare del tutto, fedeli  alle loro consuetudini, spesso ancora tribali.

Inglesi e Statunitensi hanno capito, per tempo, che con la “globalizzazione”, all’eliminazione delle dogane, già di per sé divenuta discutibile a causa delle diverse condizioni di paga  e di servaggio dei lavoratori sul Pianeta, sì è aggiunta la pretesa di aprire i confini per il transito indiscrimanato della forza-lavoro. E ciò ha messo a rischio due caratteristiche tipiche della democrazia liberale: a) l’osservanza di un patto sociale per garantire la sicurezza e la pacifica convivenza dei consociati (contenendo, in pratica, gli eccessi del motto Hobbesiano dell’Homo homini lupus) ritenuto, dagli immigrati, estraneo alla loro cultura e alle loro cosuetudini; b) la condizione di semi-schiavitù dei lavoratori, prevalentemente di colore, perché tenuti a bassa paga.

In buona sostanza, per effetto di ciò, l’ambiguità del termine “liberismo” è diventata per un liberale ortodosso di quei due Paesi  una buona ragione per escludere la parola dal proprio vocabolario.

Regno Unito di Gran Bretagna e Stati Uniti d’America hanno tagliato, però, la testa al Toro con facta concludentia più che con diatribe terminologiche. Nutriti di sana e pragmatica empiria, lontani dalle fole di falsi e reboanti Ideali (troppo spesso, posti a schermo di illecite e truffaldine operazioni economiche), hanno guardato al bene dei propri consociati, provocando reazioni feroci nella borghesia sempre più ottusa e nella classe intellettuale sempre più dipendente da mass-media totalmente asserviti ai Paperon dei Paperoni di Wall Street e della City.

Si è accentuata la distanza dalla politica dell’Unione Europea, troppo omologata, a giudizio di molti osservatori, alle direttive dei poteri oscuri e sotterranei della Finanza, della Borsa, delle Agenzie di rating; illiberale e perfida nei suoi effetti di reintrodurre, con l’immigrazione di gente di colore, forme nuove di semi-schiavismo; suicida nel persistere in concezioni ottocentesche di libero scambio, superate dai tempi e dagli effetti che regimi totalitari e oppressivi determinano sul costo della forza-lavoro e quindi sui prezzi di mercato.


L’articolo originale è al seguente indirizzzo:

https://www.rivoluzione-liberale.it/35361/opinione/la-baraonda-terminologica-e-non-solo-nelle-case-liberali-delloccidente.html

Luigi Mazzella
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