Il diritto di opinione in democrazia va sempre tutelato
È molto verosimile che il sogno di tutti i cittadini italiani, che aspirano a essere eletti alla carica di Capo dello Stato, sia quello di avere i poteri del Presidente della Repubblica della vicina Francia. Essi, soprattutto se educati, per effetto della milizia politica praticata in partiti in cui il culto dell’assolutismo ha radici religiose o ideologico-filosofiche, ritengono che nessun altro popolo al mondo sappia conferire poteri difficilmente contrastabili ai suoi Capi come sanno fare i nostri cugini d’Oltralpe.
Anche nel corso dell’ultima crisi di governo italiana, così malamente conclusasi nei giorni passati, è stato evocato, da taluno, insoddisfatto delle lungaggini delle consultazioni quirinalizie e delle trattative connesse tra i partiti, lo spirito di Charles De Gaulle.
Al desiderio degli aspiranti leader del Bel Paese, corrisponde, anche se in misura progressivamente sempre minore in questi ultimi tempi, ciò che immagina e auspica, in proposito, una buona fetta di quisque de populo, soprattutto negli agiati salotti della borghesia della Capitale e della più opulenta provincia.
Per effetto di un desiderio inconscio, spesso molto diffuso tra i governati, dell’uomo forte che risolva tutti i problemi del Paese con atti d’imperio (augurabilmente intelligenti), molti Italiani ancora coltivano sogni di analogo contenuto.
Senonché è del tutto falsa ed errata la convinzione che il Generale, a suo tempo, abbia imposto dispoticamente a un Paese (che aveva avuto la Rivoluzione più clamorosa e violenta mai verificatesi in Europa) una Costituzione non del tutto in linea con le istanze garantistiche delle maggiori liberal-democrazie occidentali.
In conseguenza, l’anelito comune alle élite italiane aspiranti al governo della res publica e alla massa “delegante”, non è per niente supportato da una lettura attenta della Carta fondamentale dei nostri “cugini d’oltrealpe”.
Un approfondimento adeguato di quella Costituzione ci dice ben altro; e ci impedisce di giungere a conclusioni di comodo.
In Francia, il potere più importante esercitato dal Presidente della Repubblica (eletto, è bene ricordarlo, direttamente dal popolo) è la nomina del primo ministro.
Proprio dall’esame, però, di tale pregnante diritto sorgono le prime sorprese, per i fanatici nostrani del potere assoluto di comando.
Come in Italia, anche in Francia, è prerogativa peculiare dell’Assemblea Nazionale votare la fiducia o la sfiducia al governo. Ciò comporta che il potentissimo Presidente della Repubblica Francese non è libero nella scelta del capo dell’Esecutivo: è forzato a nominare un primo ministro rappresentativo della maggioranza dell’Assemblea, anche se quell’uomo politico pensa in modo diametralmente opposto alle sue convinzioni.
Ciò significa che quando la maggioranza dell’Assemblea francese è di un partito politico differente a quello del Presidente la cosiddetta coabitazione fa sì che diminuiscano, inevitabilmente, i poteri presidenziali e che aumentino quelli del Primo Ministro e dell’Esecutivo nonché quelli dell’Assemblea nazionale, perché soprattutto quest’ultima resta, nel giudizio dei discendenti di tutte le Marianne di Francia, l’espressione del potere sovrano più genuino.
Ciò che importa rilevare per stabilire un raffronto con la situazione recentemente determinatasi in Italia è che, prima ancora della disciplina espressa di una tale deminutio dei poteri, la Costituzione Francese, con tali norme, raggiunge una finalità implicita, per così dire didattica, educativa (nel presupposto incontestabile che anche i Capi di Stato, come esseri umani, possono avere sempre qualcosa da imparare ).
Le norme in discorso suggeriscono implicitamente ma inequivocabilmente al Presidente della Repubblica di quel Paese l’osservanza della pratica della tolleranza di idee diverse dalle proprie. E’ una sorta di moral suasion per tabulas al titolare per eccellenza di una tale nobile funzione.
Bisogna intendersi: non è un vero e proprio motto del tipo, medice cura te ipsum, che sarebbe certamente irriguardoso per un’Alta, Somma Carica dello Stato, ma qualcosa che, in buona sostanza gli somiglia.
Nella nostra Costituzione non v’è nulla di simile, forse, perché si ritiene che l’articolo 21, nel tutelare la libertà della manifestazione del pensiero in ogni sua forma e con ogni mezzo metta il diritto di opinione al riparo di ogni lesione, da chiunque provenga.
E, invece, fatti recenti hanno dimostrato che non è così. Si può pagare un duro scotto per come si pensi.
D’altronde, le ambiguità terminologiche della nostra Carta fondamentale accentuate dalla fantasia interpretativa di “uomini del diritto”, soprattutto accademici, più influenzati dai bizantinismi del Basso Impero che dalla icastica incisività dei giureconsunti della Roma repubblicana, possono rappresentare un tranello anche per persone, chiamate all’alto incarico, di consumata esperienza politica e di buona conoscenza giuridica.
Ab uno disce omnes: il termine equivoco: “nomina” usato dai Costituenti nell’articolo 92 significa una cosa se inteso in senso formale e una cosa ben diversa se considerato come potere sostanziale e contenutistico.
E’ fin troppo chiaro che norme di doppia o tripla interpretazione, lette in un certo modo distorto (strumentale o per insensibilità politica), possono indurre comportamenti che non è raro siano ritenuti arbitrari.
E ciò, ad alti livelli di responsabilità, può rappresentare un fatto di particolare gravità. Soprattutto, se a supporto di decisioni di grande impegno politico, sia invocata, in modo esplicito o implicito, la diversità delle opinioni, tra chi ha il potere e chi ne subisce gli effetti di un uso, ritenuto non ortodosso.
Per evitare le perplessità o le reazioni scomposte che il mancato rispetto dell’opinione altrui, nelle scelte operate da vertici dello Stato, può suscitare nelle persone libere da fideismi partitici o da acritiche fedeltà editoriali di sospetta natura, la Costituzione Francese, tra le pieghe della normativa, inserisce un’implicita norma di comportamento democratico addirittura per il potentissimo Presidemte della Repubblica.
Essa se riprodotta nella nostra Carta fondamentale potrebbe evitare, per il futuro, episodi incresciosi come quelli che stanno pericolosamente dividendo gli Italiani in due soli schieramenti ma mai così nettamente contrapposti.
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