Dalle elezioni al governo Conte
Dopo 88 giorni (metà del tempo della Merkel), l’Italia ha un governo con la maggioranza del 4 marzo. I nostalgici del Nazareno, PD e FI, le hanno provate tutte per non rispettare la volontà degli elettori. Aiutati dai poteri economici (dalle voci esplicite e nebulose di ambienti dell’eurozona alla Confindustria) e dai giornali, tutti increduli del perdere i riferimenti ministeriali e impegnati a dare ai vincitori l’etichetta di antisistema (errore concettuale).
Eppure, con l’incarico tecnico a Cottarelli, pareva fossero riusciti ad impedire un governo politico. Però il governo tecnico senza maggioranza, avrebbe precipitato il paese in elezioni anticipatissime. E tale prospettiva ha portato in poche ore al balzo dello spread da 215 a oltre 300. Con il Wall Street Journal che scriveva: “le conseguenze politiche di quest’ultimo atto di disprezzo elitario possono essere peggiori”. Allora, i giornali hanno spinto per una fiducia tecnica. Contorcimenti subito respinti dal M5S e bloccati dall’appello di FdI a Mattarella: “una maggioranza si è formata tra Lega e il M5S. Siamo disponibili a rafforzarla con Fratelli d’Italia, perché occorre tirare fuori l’Italia dal caos nel quale rischia di gettarsi”.
Del resto Mattarella dopo il 4 marzo (salvo il 27 maggio sera) voleva un governo politico. E così, rientrata la tempesta nei rapporti Quirinale, Di Maio, Salvini, con una valutazione più pacata da parte di tutti, si è arrivati al Governo Conte. Proceduralmente un successo della democrazia liberale, l’unica che si affida alle scelte dei cittadini attraverso i loro rappresentanti. Sono sconfitte le pretese dirigiste di certa Europa, di chi vorrebbe sostituire i cittadini con lo spread e dei vecchi gestori che si ritenevano insostituibili ed i soli capaci a prescindere dai risultati.
Varato il governo del 4 marzo, dovrà essere giudicato per quanto farà. Quindi niente chiacchiericcio sull’essere tecnico e non politico. Esso è una scelta politica, tanto che Conte ha di nuovo citato espressamente il Contratto M5S-Lega. I ministri non parlamentari ci sono non per negare da tecnici il legame politico, bensì in virtù della loro acclarata competenza. E la competenza non è tecnica ma professionalità civile. La vera sfida per Conte è la disuguaglianza, non quella tra singoli individui bensì quella individuale rispetto ai diritti di cittadinanza che ciascuno si aspetta. Tale disuguaglianza si batte governando con indicazioni in dettaglio di come realizzare le intenzioni.
Sul punto, tuttavia, il Contratto M5S-Lega è finora silente. Dal Governo Conte verranno elaborazioni positive? Al di là della preoccupazione estera per gli appuntamenti a giugno (al Governo servirebbero indicazioni dal Parlamento), le proposte del Contratto, seppure prive di numeri, nell’ intento non sono prive di basi. Vedi reddito di cittadinanza (purché non inteso come assistenzialismo). Oppure riduzione del carico sul reddito (anche se meno efficace del ridurre il cuneo fiscale). Oppure ridiscutere come costruire l’Europa (nata a passo a passo, non imperniata sulla rigidità). Insomma l’obiettivo è puntare da subito a disincagliare la crescita reale, oggi troppo bassa, perché prigioniera di burocrazie autoreferenziali e oppressa da un enorme debito accumulato (che va tagliato non solo agendo sul deficit annuale) i cui interessi fagocitano risorse di cui avremmo fame. Queste son le cose che è legittimo aspettarsi dal Governo. Sarebbe già molto. Senza dimenticare che non si può chiedere al Governo Conte una cosa per cui esso non è vocato: un’impostazione liberale ampia, necessaria al fine di proporre ai cittadini gli strumenti per costruire una società aperta, la precondizione vera di una ripresa effettiva imperniata sulla diversità individuale del cittadino.
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