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Commento al libro “IUS PACIS” di Antonio Pileggi

Diritto e responsabilità sono i due concetti che risuonano martellanti nel libro di Antonio Pileggi.

Due parole che si coniugano indissolubilmente con un’altra, indiscussa protagonista di questo scritto: la pace, come accorato anelito a una comune visione universale, auspicabilmente profetica.

Il concetto di pace come diritto rivoluzionario e ineludibile, pena l’estinzione del genere umano, s’impone come un Kantiano, categorico monito. Un imperativo che dovrebbe però trasformarsi in uno spontaneo momento di riscatto di tutte le coscienze, che appaiono invece assopite e anestetizzate, tanto da abbandonarsi a reazioni primordiali e “tribali”.

E quale miglior linguaggio di quello della poesia per entrare nelle menti e spaziare nell’animo e nel cuore degli esseri umani!

La scelta di questo speciale “veicolo” per far circolare concetti tanto scontati quanto pregnanti, si rivela davvero vincente.

La poesia, come la musica, supera la dimensione reale del vivere per innalzarsi a quello spirituale e a volte mistico. Il suo uso come strumento di comunicazione è davvero pedagogico per l ’anima.

Nel caso particolare trovo che le capacità storicamente e letterariamente evocative e di sintesi espresse da Pileggi attraverso i suoi versi, conferiscano alla sua narrazione forza, efficacia ed edificante stimolo.

Oggi si considerano retorici certi concetti afferenti alla sfera etica, da molti vengono strumentalizzati e ne viene snaturato il significato per darlo in pasto all’ignoranza.

C’è bisogno di umanità, coscienza civica, lungimiranza: questo traspare dall’opera.

C’è bisogno che lo strumento poetico che usa così sapientemente l’autore si faccia esso stesso contenuto.

Quanto bisogno di poesia avrebbe la nostra vita!

La poesia tocca corde fondamentali alla sopravvivenza umana, le fa vibrare e fa coesistere le diverse note generate, in un’unica, universale armonia. Quest’armonia si chiama pace.

Come scrive Etty Hillesum (giovane olandese morta a 29 anni ad Auschwitz): “Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso. È l’unica soluzione possibile”. Esattamente lo stesso concetto espresso da A. Pileggi.

Nelle sue poesie, regolate dal ritmo del numero 7, numero di completezza e perfezione, ma anche di perseveranza e speranza, si contrappongono opposte parole. Contro sopraffazione e distruzione si elevano concordia e convivenza. Al linguaggio di morte fa seguito quello di vita. All’evocazione di una società tribale, la speranza di una solidale.

L’autore sentenzia che sarà tragico l’epilogo se prevarranno le prime, se la pace verrà vissuta solo come una parentesi fra le guerre. Per non perpetrare e perpetuare il fratricidio di Caino, cadendo negli ingranaggi della guerra e della menzogna che la sostiene, dobbiamo affidare alle nostre coscienze la bellezza del sogno di una “casa comune” dove vivere in pace come auspicato anche da papa Francesco nel suo Laudato si’ dove al rispetto del proprio simile consegue quello di tutto il Creato.

Se per l’autore ora questa è solo un’utopia, sta a noi crederci, solo a noi, per poterla trasformare in un concreto progetto di vita futura. Nell’utopia e nel sogno del poeta si celano i semi di una nuova futura umanità.

Roma, 16 Dicembre 2024

Oria Francesca Tessaris